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La verità sul polmone del mondo

Pubblicato il 25 Settembre 2019
foresta

Circa 75 mila eventi incendiari sono stati registrati nel corso del 2019 nella foresta pluviale amazzonica, un numero record, quasi il doppio rispetto al numero di incendi nello stesso periodo del 2018. L’istituto nazionale per la ricerca spaziale (INPE) ha rilevato che nel mese di luglio sono stati bruciati 225 mila ettari di foresta anche questo un dato senza precedenti, il triplo rispetto a quelli del luglio 2018.

Ma la foresta pluviale amazzonica, che rimane umida, zuppa di acqua per gran parte dell’anno, non brucia naturalmente. Gli incendi – come hanno testimoniato le istituzioni di ricerca e le organizzazioni non governative che operano in Amazzonia, tra cui IPAM – sono intenzionali.

La responsabilità è addebitata agli agricoltori e alle grandi imprese zootecniche e agro-industriali, che usano il metodo “taglia e brucia” per liberare la terra, non solo dalla vegetazione, ma anche dalle popolazioni locali e indigene.  Gli alberi vengono tagliati nei mesi di luglio e agosto, lasciati in campo per perdere umidità, successivamente bruciati, con l’idea che le ceneri possano fertilizzare il terreno. Quando ritorna la stagione delle piogge, l’umidità del terreno denudato favorisce lo sviluppo di vegetazione bassa per il bestiame.

L’allevamento del bestiame è infatti responsabile dell’80% della deforestazione in corso nella foresta pluviale amazzonica, che viene rasa al suolo per lasciare posto ai pascoli , mentre un altro un altro 10-15%  viene lasciato alle coltivazioni intensive, soprattutto di soia (molto usata per produrre, a sua volta, mangimi).

Questo perché il Brasile è il secondo produttore mondiale di carne bovina, che ne esporta un quarto del consumo globale. Questo dato, fra il 2010 e il 2017, è aumentato del 25%, per arrivare ai 1,5 milioni di tonnellate l’anno dichiarati oggi dall’associazione degli esportatori brasiliani di carne e vede Hong Kong e la Cina come i principali importatori.

Un evento catastrofico planetario. È come se stessero bruciando i nostri polmoni. Con i devastanti incendi in corso nella Foresta Pluviale Amazzonica, rischiamo di perdere il 20% della produzione di ossigeno del Pianeta e il 10% della biodiversità mondiale.

A causa della deforestazione, la Foresta amazzonica nel territorio brasiliano sta perdendo una superficie equivalente a oltre tre campi da calcio al minuto e siamo sempre più vicini a un punto di non ritorno per quello che, non solo è il più grande serbatoio di biodiversità del Pianeta, ma rappresenta uno dei pilastri degli equilibri climatici. Al di sotto di una certa superficie, l’ecosistema forestale amazzonico rischia di collassare perdendo la capacità di fornire quei servizi cruciali per l’umanità come la stabilità climatica, la produzione di ossigeno, l’assorbimento di CO2, la produzione di acqua dolce, il mantenimento della biodiversità e tanti altri ancora.

La Foresta amazzonica è un ambiente delicatissimo e irripetibile. Una volta scomparsa sarà scomparsa per sempre e nessun intervento di rinaturalizzazione potrà mai ricrearne la straordinaria varietà, ricchezza e complessità.

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